I lavori presentati consistono in quattro fotografie che sintetizzano tre performance collettive e un video. Questa selezione è stata abbinata alla tematica riferita ai processi sociali, perché in essi si celano differenti forme di tensioni, che sono materia di interrogazione nella mia ricerca artistica. Nello specifico, le fotografie delle performance collettive Sulla retta via (2014), A nostra immagine e somiglianza 1 (2018) e Livello 0 (2019), mettono in luce le peculiarità individuali all’interno di una collettività uniformante. Nella fotografia del video Homo Homini Lupus (2011) il dualismo tra “stato di diritto” e “stato di natura” si riassume in una lotta tra due forze uguali e contrarie.
Homo Homini Lupus (2011)
Nel Leviatano (1651), Tommaso Hobbes getta le basi del giusnaturalismo, interpretato pessimisticamente come uno stato di guerra continua (bellum omnium contra omnes) dove l’uomo è “lupo per l’uomo”.
Passando dalla metafora filosofica all’ipertestualità che appartiene al presente dell’arte, Filippo Berta ribalta l’assunto hobbesiano: per visualizzare la ferinitas del genere umano, l’artista utilizza direttamente un branco di lupi. Immersi in un paesaggio quasi lunare, i lupi si contendono violentemente non una preda ma un oggetto, una bandiera italiana, e questo ci spiazza. Per il filosofo la sola via d’uscita è la creazione dello stato, capace di ridurre le volontà dei singoli a una volontà unica, che Berta mette in questione attraverso
uno dei suoi simboli più riconoscibili: la bandiera, con un’allegorica mise en scène che rivendica le ragioni dello stato di natura sullo stato di diritto […]
Estratto dal testo originale di Eugenio Viola, chief curator presso MAMBO, Museo Arte Moderno, Bogotá
Sulla retta via (2014)
Una linea di persone si muove lungo la riva del mare di una spiaggia deserta, cercando di seguire il confine fugace, definito dalle onde, che separa il mare dalla terra. Questa situazione produce un’azione collettiva scoordinata che rende visibile una linea senza fine che si rompe continuamente. La difficoltà di mantenere una linea perfetta e retta rappresenta il dualismo d’impossibilità dell’uomo di trovare un equilibrio tra la sua
natura intuitiva, emotiva, impetuosa e il suo ruolo definito dalla società che penetra le coscienze individuali e le condizioni comportamento mentale e guida l’individuo verso modelli standardizzati.
Estratto dal testo originale di Claudia Löffelholz, curatrice e membro de La Rete Art Projects
A nostra immagine e somiglianza (2018)
Un gruppo di persone fissano al muro un chiodo rimanendo in punta di piedi, in modo da raggiungere l’altezza massima concessa dai loro corpi. Il rumore causato dai colpi di martello satura lo spazio. Poi ognuno pone un crocifisso e diventa visibile una linea irregolare, definita dai limiti corporei di ciascuna persona. Questo confine stabilisce due dimensioni di un “sopra” e di un “sotto” (perfezione e imperfezione, spirituale e corporale) come se fosse la frontiera critica oltre la quale esiste solo la dimensione dell’idolo.
Questo lavoro è il primo capitolo di una trilogia proposta come un ripensamento sul desiderio ostinato della società di avere un’icona rassicurante di un idolo, dove la realtà trova la “giusta dimensione”, ma nello stesso tempo ha dentro un gioco dualistico in tensione tra idolo e idolatra.
Livello 0 (2019)
Sotto a un piano di luce rossa, si intravedono nella penombra delle persone accovacciate e impegnate a cecare delle briciole di pane disposte sul pavimento, per poi mangiarle una ad una. L’altezza di questa linea rossa è definita dalla posizione di questi individui, e li uniforma in una condizione unitaria caratterizzata da un tentativo senza fine. Lo sguardo del pubblico si trova invece sopra il piano rosso, che si concretizza con una linea rossa all’altezza del ventre di ciascuno spettatore. In quel momento si manifesta un dualismo definito dalla linea rossa, e come se fosse un “livello zero”, divide una condizione sovrumana e di potere insita negli occhi dello spettatore, da una condizione umana rappresentata da sagome impegnate in una silenziosa competizione, ovvero riuscire a appropriarsi di più briciole possibili. Questa dicotomia genera una condizione conturbante nella relazione tra performer e spettatore, perché il pubblico la vive costantemente all’altezza del proprio ventre, che diventa il livello zero da cui ciò che sta sopra è diverso da ciò che sta sotto.