Düsseldorf
La storia di Düsseldorf comincia nel 2017.
Inizio a fotografare la vista della mia camera da letto perché mi sento lontana e sola.
Ho bisogno di un’immagine che prenda corpo immediatamente, perché il corpo dell’altro è in questo momento quello che mi manca.
Scatto quindi con una Fuji delle piccole istantanee nel formato 54 mm × 86 mm.
Sono sospensione del tempo: gesti legati alla contemplazione della bellezza.
Guardare fuori e basta, una meditazione.
Fotografia come materia di un momento di consapevolezza.
La torre bianca del quartiere è la prima cosa che vedo quando mi sveglio e l’ultima prima di dormire. Il mio orizzonte, il mio limite, la mia ossessione.
L’altrove, la sconosciuta, l’irraggiungibile.
Guardare è anelare.
Passano due anni e alla fine del 2019 mi innamoro. Vertigine.
L’interruzione violenta arriva dopo pochi mesi a causa della recente quarantena.
La vita torna ad essere per me quella amputata di prima: lavoro e solitudine.
Il letto vuoto. La torre bianca e basta. Paesaggio. Io sola.
Queste istantanee, che negli anni ho continuato a fare, diventano un’altra cosa: sono tutti i cieli che avremmo visto insieme se avesse potuto stare con me.
Nel lavoro entrano anche gli interni dell’appartamento, alcuni animali che ho incontrato nell’assurdo percorso silenzioso verso il lavoro, video e pensieri scritti.
«Che strano dove abiti. Sembra Düsseldorf».
Lui diceva così.